venerdì 13 gennaio 2017

Il dietro le quinte di una guida: Un viaggio a pedali nel basso Canavese.

Gli incontri del destino sono per Cubo Viaggiatore come le perle di una collana. La perla di questo post è una perla rara e di gran valore per il blog. CuboViaggiatore è soltanto un filo che tiene assieme le splendide perle che i nostri contributori ci regalano.
Ricorderete sicuramente la gita di Lorenzo e Cubo a Cornaley e uno degli incontri del destino di quella tappa di rientro da Cornaley fu un incontro casuale o apparentemente tale. L'incontro con Toni, che in sella alla sua bicicletta e con la sua macchina fotografica a tracolla stava realizzando la sua nuova guida cicloturistica. Vorrei ringraziare Toni per questo magnifico articolo, splendidamente raccontato e corredato di belle foto, che ha voluto scrivere appositamente per Cubo Viaggiatore e che pubblico con orgoglio e molto entusiasmo. Toni ci regala delle emozioni e proietta nella nostra mente immagini romantiche, affrontando temi importanti, un bello spaccato, affrontato con ironia, della nostra società, che lascia purtroppo sempre meno spazio agli aspetti umani a favore di "elementi alieni".


Tra Banna, Orco e Malone

Testo e foto di Toni Farina

Come spesso capita, questo viaggio è iniziato sulla carta. La carta cartacea dell’Istituto Geografico Centrale “Il Canavese da Ivrea a Chivasso”. In realtà il Canavese da Ivrea a Chivasso già lo conosco avendolo esplorato in abbondanza. Oggi però voglio spingermi verso la cintura di Torino, in un Canavese meno verde e accogliente. Lo scopo è inventare un anello tra San Maurizio e Bosconero, nella zona interessata dai torrenti citati nel titolo. Ma questa è solo una parte della verità, quella ufficiale. La verità profonda sta nel desiderio di unire pedalando alcuni “angoli” che mi stanno a cuore, quegli angoli insignificanti che però colpiscono il ciclo-viaggiatore non adrenalinico, quello che si guarda intorno non schiavizzato dal cronometro e dal cardiofrequenzimetro. E poi voglio un anello con partenza da San Maurizio (Canavese), perché da quelle parti ci andavo in bici da bambino, e più volte ho pedalato su quella stradina che dal cimitero taglia a nord nella campagna e che da allora – miracolo – non è cambiata granché. Anche se sono conscio del fatto che, in gran parte della zona in questione, il paesaggio non ricorderà la Carinzia o il Midi della Francia. Ma tant’è, è ottobre. “Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza”, dice Guccini. E, “non so se tutti hanno capito quanto sia bello a Ottobre pedalare”, dico più modestamente io.


Parte 1 
Si pedala sulle ali di ricordi infantili

Inverno alla chiesa cimiteriale di San Maurizio
Una spruzzata di retorica è concessa. Come ho detto, la stradina dove pedalavo da bambino parte dal cimitero di San Maurizio, quello con la splendida chiesa risalente all’XI secolo, monumento nazionale. Un tempo si giocava a pallone nel prato di fianco, ignari di cotanto valore. La stradina si chiama via Barbania e va subito in campagna. E subito si passa il rio Baglioni che ormai non si vede più, sommerso com’è dai rovi (ma un tempo per noi era il Rio delle Amazzoni). Attraversato il torrente Banna si procede verso una delle poche e brevi salite della giornata, uno strappetto che eleva sull’altipiano della Vauda, o delle Vaude, una per paese. Subito dopo si giunge a un incrocio dove si trova la chiesetta di San Giacomo, incontro propizio alla prosecuzione del viaggio. Svoltati a destra su una tranquilla provinciale si è accolti dalle prime abitazioni di San Francesco al Campo, toponimo che ben ricorda la vocazione agricola di questa località. Il tempo di interiorizzare il cambio di direzione ed è subito ora di allertare i sensi, vista e udito, necessari per superare indenni l’ostacolo della trafficata provinciale detta “Favriasca”. La si imbocca a destra per una manciata di metri, poi con cautela si attraversa la carreggiata per dirigersi a sinistra verso il centro del paese. L’istinto campagnolo conduce però altrove: al primo bivio si prende a sinistra in via Bruna, e non ci sarà di che pentirsi. Più che “bruna” questa via a ottobre è multicolore. Si scivola all’inizio al margine dell’abitato, tra campi e magioni sempre più sparse. Poi si prosegue in lieve e sollazzevole andatura calante tra fronde di acacia per giungere dopo un paio di chilometri a un bivio.

Angolo 1, o del pero solitario
Destra o sinistra? La tentazione sarebbe di lanciare la monetina, lasciar decidere al caso, ma caso vuole che la road map prefissata conduca a destra… e non ci sarà di che pentirsi. Poche pedalate su un invitante nastro di asfalto, annegato fra erbe e fronde e, con un po’ di attenzione, si scorge sulla sinistra una stradina che conduce … dove conduce non ha importanza, l’importante è buttare l’occhio e assimilare il luogo, farlo proprio. O meglio, lasciare che il luogo ci prenda. Una distesa ondulata di prati senza elementi di disturbo, un’eccezione in questa disastrata pianura pedemontana. Poco discosto dalla stradina un pero solitario è la ciliegina sulla torta. Un tocco di grazia, da paesaggio giapponese. L’avrete capito: è questo uno degli angoli citati in premessa. Mi viene in mente quel che disse l’alpinista britannico Joe Tasker una volta giunto sulla cima del Kangchenjunga, rivolgendosi a quella cima himalayana incorrotta: “che tu rimanga tale”.

Parte 2 
Andante con brio, nell’ingolfata pianura 

“Che tu rimanga tale” è l’auspicio con cui risalgo in sella: è giunto il momento di calare i pochi metri saliti con lo strappetto di cui serbate ancora memoria. La breve discesa adagia al margine meridionale di San Francesco. Ancora in lieve discesa ci si intrufola tra le ultime abitazioni del paese, poi si scorre liberi sulla tranquilla strada che corre ai piedi della boscosa riva dell’altipiano. La meta è ora la frazione Tedeschi di Leinì che si raggiunge divagando tra i campi. Il sottopasso sulla statale 460 è la poco esaltante premessa a questa borgata che fu di campagna e ora si trova in bilico tra schiere di villette e residui cascinali. Lasciata a destra la via proveniente dal capoluogo si procede nella stessa direzione giungendo a una rotatoria che interrompe l’andare, ma è solo un intervallo, poi il viaggio riacquista carattere campestre. L’andamento sinuoso e leggermente mosso della strada stimola il pedalatore, e i suoi pensieri e il suo sguardo si perdono a oriente nella foschia della pianura. Si spingono sulla collina torinese, “di là dal fiume e tra gli alberi”. Suggestioni letterarie. Che brutalmente svaniscono alla periferia di Volpiano, complice l’incontro con il maltrattato rio San Giovanni (niente alberi intorno, solo cemento).

Parte 3
Volpiano “comune d’Europa”, ma non per i pedalatori …

… che tra le vie del congestionato borgo sono costretti a barcamenarsi, farsi segugi. La cittadina è una vera scuola di sopravvivenza pedalatoria. Se si istituisse un premio per la città più bike friendly, Volpiano ne sono convinto non vincerebbe e neppure lo troveremmo nelle prime posizioni. Scafato da 15 anni di pedalate in Torino sono però convinto che ne verrò a capo e riuscirò ad a attraversare indenne l’abitato e rintracciare quella stradina che, partendo dalla circonvallazione, porta diretta a San Benigno (una stradina bianca rintracciata sulla carta IGC). San Benigno è la prossima meta e la mappa IGC mi dice che devo andare a nord. Ostinatamente privo di stradario e di aggeggi tecnologici mi oriento con bussole naturali: il sole e il muschio sui tronchi degli alberi. Ma gli alberi a Volpiano sono davvero pochini … Il sole però c’è e la sua posizione (ore 11) mi suggerisce di andare a sinistra nell’abitato, aggirando il cordone collinare della Vauda che cessa proprio qui il suo slancio. Mi intrufolo in viuzze di scarso traffico cercando di evitare i sensi unici e scansare auto in sosta “d’emergenza” davanti ai bar. Ed è così che giungo alla ferrovia, nei pressi nella stazione. La ferrovia è la gloriosa Canavesana, i cui binari indicano la rotta. Li fiancheggio, ma la strada è troppo trafficata e allora svicolo su più tranquille traiettorie. Una pimpante signora in tuta da fitness mi suggerisce una soluzione: “vede quella strada, porta dritto alla circonvallazione e una volta lì basta seguire le indicazioni”. Evviva! Ma “una volta lì” mi accorgo che dell’agognata stradina per San Benigno non c’è traccia. Così ritorno alla stazione per un secondo tentativo. Guidato dall’istinto attraverso i binari attirato da una chiesetta che in quel bailamme sento alleata. Ed è così che rintraccio una sorta di passaggio segreto che aggira il solitario monumento e mi conduce in un’appartata strada di servizio a una zona residenziale, dalla quale partono vie laterali i cui nomi sono un chiaro segno: Magellano, Colombo, Vespucci, Polo. Grandi esploratori di mare e di terra, li sento vicini, solidali: come se la caverebbero in questo frangente? Forse anche loro avrebbero difficoltà.

L'incontro
Guadagnata nuovamente la circonvallazione non trovo nessuna stradina ma in compenso trovo due ciclisti (pardon, ciclo-viaggiatori) con i fiocchi. È l’incontro umano della giornata. Sono lì fermo in perplessa consultazione della mappa IGC quando li vedo apparire, agghindati e attrezzati di tutto punto. L’atteggiamento e le borse a lato ruota mi dicono che stanno arrivando da lontano, reduci da un lungo viaggio, sono tedeschi o olandesi probabilmente. Un’intesa di sguardi è la premessa al dialogo ed è così che, sorpresa, li scopro connazionali. Segue una breve chiacchierata, un fruttuoso (almeno per me) scambio di opinioni e informazioni: è grazie a questo incontro che apprendo dell’esistenza di Cubo viaggiatore, ed è grazie a questo incontro che ora sono qui a intessere le trame di questo ciclo-racconto.
Il “casuale” incontro mi porta alla mente il cult movie Sliding doors (se avessi scelto l’altra strada… ), ma soprattutto convalida la mia convinzione sul non eccessivo uso di GPS e similari. Se avessi fin da subito imboccato la diritta via non avrei conosciuto un “cubo viaggiatore” e non sarei qui a scrivere e voi non sareste lì a leggere ma a fare cose sicuramente più interessanti …
Con i se e con i ma però non si va lontano, e la mia stradina è sempre da trovare. Ma ora sono più motivato, torno per la seconda volta sui miei passi e riparto per un terzo tentativo: la mia terza via, non al socialismo ma in Volpiano. Ed è così che dopo alcune divagazioni rintraccio via Cervino (!) che mi riporta alla circonvallazione proprio nel punto in cui sul lato opposto inizia “la mia stradina”: una via a fondo naturale che in breve entra in un boschetto di acacie. Con tanto di muschio sul lato nord dei tronchi.

Parte 4
San Benigno, sarà più benigno con i pedalatori?

L’ostinazione del ciclo-viaggiatore ha avuto giusto riconoscimento. Contribuisce al buon umore il passaggio del rio Ritano, avvolto da esuberante vegetazione spondale. Ulteriore miglioramento giunge di lì a breve quando appaiono all’orizzonte la cupola e il campanile della Fruttuaria. La direzione è quella giusta. Dopo mezzo chilometro di piacere approdo su una poco invitante strada provinciale, ma il borgo è lì, soltanto la ferrovia Canavesana e il torrente Malone mi separano dal concentrico. Malone beach, lo chiamavamo da ragazzini, attirati da quegli arenili a chilometro zero e dalle chiare fresche e dolci acque provenienti dai monti di Corio. Per fortuna quelle acque da allora non sono troppo cambiate e ancora il torrente scorre libero nel verde Canavese, disegnando anse nella campagna fra Rocca, Levone e Barbania. Più a valle le cose cambiano e le acque si intorbidano, ma ciò nonostante il Malone trova il modo di stupire i cacciatori di suggestioni visive. Come quella che si incontra risalendo per 200 metri la strada provinciale, verso Lombardore. Passati i campi e i campetti da calcio la carreggiata si spinge a lambire il corso d’acqua e, scesi dalla bici, si può andare verso la riva (senza esagerare: scarpata artificiale). Con luce favorevole lo scorcio sulla Fruttuaria che si riflette nell’acqua verdognola di vegetazione vale almeno 4 stelle (sarebbero 5 senza le cartacce tutt’intorno).

Angolo 2, il Malone e la Fruttiaria, suggestioni visive
È questo il secondo “angolo”, meritevole di maggior riguardo e considerazione, come tanti altri in questo nostro disastrato Paese. E la luce? La luce oggi è di quelle giuste, luce tenue di ottobre con qualche nuvoletta in cielo. Che volere di più? Saziare l’appetito e poi un caffè in un baruciu in piazza, che diamine.

L’airone nel Malone (rima casuale)
Passata la ferrovia si va verso il centro del paese. C’è però da attraversare il Malone ed è un altro bell’incontro. Un passaggio pedonale agevola soste di contemplazione ed è così che scorgo, a una manciata di metri dal ponte, un airone cenerino. Un incontro ormai usuale tra i campi ma vederlo qui, nel suo ambiente d’elezione, che dire, emoziona. Oltretutto non vola via rapido come d’abitudine ma se ne sta lì tranquillo a dirmi: “ma a che ti serve quella fotocamera che ti ciondola appesa al collo?”. Giusto, a che mi serve? A fotografare il solitario airone prima che se ne voli lontano, e lui, l’airone mi concede il tempo necessario e anche di più. Poi s’invola a pelo d’acqua verso la confluenza, incontro al Po. San Benigno non sarà Copenaghen, ma anche in ragione delle ridotte dimensioni si rivela più mansueto con i pedalatori. Superato un ostacolo semaforico sono accolto da una via selciata e da una fonte esagonale, e subito dopo da una piazzetta con tanto di panchine. Ore 13,30, fuori il panino dallo zainetto e poi sosta-caffè al baruciu all’angolo. Dove approfitto per chiedere informazioni sulla ciclabilità del tragitto: Bosconero è la prossima tappa. Mi dica: “qual è la via migliore, a misura di ciclo-viaggiatore?”

Parte 5
Miracoli sulla pianura

“La direzione per Bosconero è quella, va in fondo alla piazza e prosegue sulla provinciale lungo la ferrovia ma, aspetti, c’è anche quell’altra strada, sull’altro lato della ferrovia, dove passano solo i trattori, ed è pure asfaltata”. Non credo alle mie orecchie, una via di asfalto chiusa al traffico motoristico privato che unisce due paesi, senza costringere i pedalatori a insulse gimcane, è un miracolo. Come altro definirla? Perplessità impone immediata verifica.

Senza troppe ansie guadagno l’uscita nord del paese, ed è lì che, dopo un’altra rapida richiesta di informazioni, rintraccio via Teresa Belloc. Già, un’artista d’opera. E una piccola opera d’arte è questa via a lei intitolata. Mi piace pensare a un abbinamento non casuale mentre mi avvio su questo nastro di asfalto sgombro da motori che non siano sparuti mezzi agricoli. Per il resto solo persone: che passeggiano, corricchiano, pedalano. Bambini che giocano, liberi e senza rischi. Un miracolo sulla pianura.
Da apprezzare senza fretta. E così, a metà tragitto per Bosconero, mi fermo per una sosta di apprezzamento. Da un lato distese prative e più in là boschetti. Stradine laterali esortano a campestri divagazioni: quanto sarà lontano l’Orco, torrente dall’eva d’or, natio sulle aspre giogaie del Gran Paradiso? La domanda non ha risposta anche perché un fischio annuncia il transito del treno. Il convoglio s’approssima e il clangore infrange il silenzio dei campi, ma è musica perbacco: lunga vita alla Canavesana, mostro d’acciaio “lanciato a bomba contro l’ingiustizia”. L’ingiustizia della chiusura di tante ferrovie locali che solcavano in lungo e in largo la terra ex sabauda, una trama di binari tagliata pezzo a pezzo, come tanti rami secchi. Lunga vita alla Canavesana dunque. Che ora si perde a nord in canavesani orizzonti. Chiusi da canavesane montagne: il Verzel, Cervino della Valle Sacra, la Quinzeina dalle quindici punte. Sono questi riferimenti che mi guidano infine a Bosconero (Blackwood, lo chiamerebbero oltre Manica).

Giusto, ma allora, dove si mettono le bici?
Un verde e ombreggiato parchetto comunale mi porge il benvenuto. Gradevole è anche la via centrale che attraverso senza fretta, in surplace quasi. Ma un fastidio lo trovo anche qui, un cartello piccolo piccolo ma pungente, messo lì apposta all’ingresso di un baruciu: “NON APPOGGIARE LE BICICLETTE AL MURO”. Più che giusto, il muro è di fresca pittura e una ragnatela di scalfitture non starebbe bene. Ma un portabici? Mi chiedo, sarebbe troppo? Comprometterebbe l’arredo urbano? Posti auto a gogò, portabici con il contagocce, nota dolente di tanti borghi non avvezzi al transito dei ciclo-viaggiatori. Eppure, a volte, un portabici suonerebbe come un invito alla sosta, alla consumazione …
Vaglielo a dire, magari glielo dirò … la prossima volta, ora no, il viaggio è ancora lungo, e ignote sono le strade.

Presenze aliene
La mappa IGC però mi viene ancora in soccorso indicandomi un’altra stradina che, dopo un’ulteriore divagazione a nord alla borgata Mastri, mi consente di guadare il fiume in piena della famigerata statale 460 senza troppi rischi. La rintraccio senza fallo all’uscita dal borgo: strada della Chiara, il nome, ed è subito chiaro che mi condurrà alla meta senza problemi, anzi, con campestre piacere. Interrotto soltanto da una casa con incredibile (nel senso: “da non credere”) colonnato e annesso capannone di cemento, piazzata lì in mezzo ai campi, costruzione non terminata ma del tutto aliena, atterrata lì da chissà quali mondi.

Treni locali, presenze sempre più aliene …
Metabolizzata la bruttura si procede a nord: Feletto è in vista e la Quinzeina è sempre più vicina: la locale Verdassa, con la sua china verde-autunno interrotta dalla facciata bianca della chiesa di Santa Elisabetta. Il passaggio a livello chiuso consente un secondo incontro con il treno della Canavesana, ma a breve il viaggio cambierà direzione: mi attende l’incrocio con la 460, “agevolato” da una rotatoria (di rotatorie parleremo …). Borgata Mastri, contesa da Bosconero e Rivarolo. Uno storico pannello del Touring Club Italiano attira la mia attenzione: se ne sta lì, triste e malconcio su un muro, ricordando epoche più felici. Borgata Mastri: ABITANTI n. 96 – ALTITUDINE m. 262. Gli abitanti non saranno più quelli ma l’altitudine, presumo, non sarà cambiata. Come neppure sarà cambiata la collocazione di Argentera, la mia prossima meta. Per raggiungerla veleggio ora a ovest su una provinciale secondaria cambiando temporaneamente orizzonte: dai monti della valle Sacra ai monti della valle di Corio, là dove nasce il Malone.

Parte 6
I miracoli non si ripetono, ma…

Argentera, la mia prossima meta, è vicina, ci arrivo in un batter di ciglia. Un tempo enclave campestre di Rivarolo, la borgata tende oggi al residenziale, come si evince dall’immancabile schiera di villette. All’incrocio nell’abitato mi imbatto in un cartello del Touring Club meno malconcio dell’altro: ABITANTI n. 1091 (perbacco) – ALTITUDINE m. 270 (sono salito di 8 metri). Il cartello indica anche la direzione per Rivarossa, prossima tappa: devo andare a sud, per un più radicale cambio di direzione e di prospettiva.

Argentera – Rivarossa, strada per ciclisti?
Sulla carta la strada è invitante: un nastro sinuoso che scorre in mezzo ai campi fra rade abitazioni. Sono però informato del fatto che detta strada è assai utilizzata da automobilisti quale collegamento diretto fra Rivarolo e basso Canavese, in alternativa alla congestionata e insidiosa statale 460. Il guaio è che molti di loro adottano la stessa velocità di crociera, in barba ai “max 30” della stradina. L’insidia è così tutta per i molti ciclisti che la frequentano, soggetti a esilaranti “rasette” dai buontemponi motorizzati, senza che alcun pubblico ufficiale muova foglia.

Il miracolo della stradina semi-ciclabile San Benigno-Bosconero qui non si ripete, ma … dalla consultazione della mappa IGC traspare un’alternativa che consente di arrivare a Rivarossa senza troppe ansie. Il dazio da pagare consiste in una manciata di chilometri in più, ma si può fare. Si può fare e ne vale ancora la pena: pochi metri verso Rivarossa poi si svolta a destra per Benne di Oglianico, ritornando così a veleggiare in direzione ovest gratificati da ampi scorci sui campi e sui monti. San Francesco Benne è il nome della borgata che si raggiunge in 3 chilometri di pacato pedalare. Un’isola, questa borgata, isolata com’è dal capoluogo Oglianico, perché in mezzo ci sta il territorio del comune di Favria. Stranezze storico-amministrative, a dire il vero piuttosto diffuse. La missione è ora rintracciare la stradina (l’ennesima stradina) campestre che mi porterà (dovrebbe portarmi) in quel di Rivarossa.

Angolo 3, Chiesa di San Francesco Benne (di Oglianico)
Passato il borgo, la campagna aperta consente allo sguardo di inquadrare Belmonte, sacro monte canavesano. Inquadrare è il verbo giusto, perché visto di qui Belmonte è davvero un quadro, nella cornice dei monti. Sopra la chiesa di Belmonte c’è la statua di San Francesco, e al patrono d’Italia è dedicata una chiesetta discosta dalla borgata, luogo oltremodo gradevole, un angolo che ancora non conoscevo, meritevole di sosta. Ed è grazie alla sosta che leggo sul fronte della chiesa il messaggio francescano: “Laudato sii, o mi Signore”.

Laudato sii, o mi Signore …. per tutte le creature … per sorella madre terra …

Angolo 3, tiglio di autunno vestito
Laudato sii, o mi Signore per quel poco di bel paesaggio e di natura che ancora sopravvivono in questo scampolo di Canavese. Per questo splendido tiglio di autunno vestito. E infine per questa stradicciola campagnola che dalla chiesa taglia nella campagna e mi invita a seguirla. Accolgo l’invito e cambio direzione seguendo l’indicazione di tre cascine. In poche pedalate giungo al piccolo cimitero della borgata, all’asfalto subentra una ghiaia d’antan, ma soprattutto la strada si divide: a sinistra si va alle cascine Mondina e Rat (in piemontese “topo”), a destra si va alla cascina Foresta. La mia indole naturalistica mi esorta a seguire quest’ultima. Indole fallace: alla cascina la strada s’interrompe costringendomi a tornare al bivio. Poco male, occorre perdersi per ritrovarsi … E così, imboccata l’altra via, mi ritrovo a pedalare su un lungo rettifilo, fiancheggiato dalla sequenza di blocchi di cemento che delimitano i campi della cascina Mondina. Vorrei chiudere gli occhi e, riaprendoli, vedere in luogo di quest’orgia cementizia un bel recinto di legno, frassino o castagno non importa. Tuttavia non c’è bisogno di chiudere e riaprire gli occhi per scorgere i monti di Lanzo, le arcigne uje di Bessanese, Ciamarella e Mondrone. E poi la Levanna orientale, che fra le “dentate e scintillanti vette” di carducciana memoria è l’unica a mostrarsi agli abitanti della pianura, foschia permettendo.

Uje di Lanzo
Oggi la foschia è leggera, mi consente di scorgere le montagne rivestendole però di quell’alone di mistero che non guasta, anzi, crea quel giusto distacco. La foschia leggera mi consente anche di scorgere a occidente l’altipiano della Vauda, di fronde vestito. Il sole del pomeriggio ne nasconde i dettagli, ma ne esalta il profilo. Sotto le ruote la ghiaia canta e mi trovo a pensare che questo rettifilo potrebbe continuare all’infinito … sensazione nirvanica, interrotta dal repentino cambio di direzione che mi conduce a una cascina (Rat?) avvolta da una macchia boschiva. Mi accoglie un latrare, anzi, un ringhiare forsennato di cani rabbiosi, per fortuna chiusi in recinti. Accoglienza poco amichevole che obnubila il piacere del duplice attraversamento del rio Manesco. Ma altre acque mi attendono: s’approssima di nuovo il Malone, un incontro previsto, ma non per questo meno attraente.

Il canto degli spiriti sopra le acque
Laudato sii o mio Signore per questo rio che meandreggia ancora libero sul piano, avvolto da vegetazione di ripa. Meandreggia anche la strada che mi conduce a bordeggiarne la riva, a viaggiare in sintonia con il torrente. Più avanti mi attende un altro angolo (un incontro previsto, ma non per questo meno attraente). E ancora il Malone è protagonista: il rio nativo sui monti di Corio si esibisce con un’ansa permettendo allo sguardo di adagiarsi sull’acqua, verde di foglie, argentea di luce radente. "Il canto degli spiriti sopra le acque" … e mi trovo a pensare che sia proprio qui, in questo punto, che Johann Wolfgang Goethe abbia composto la sua ode, durante il suo viaggio in un’Italia più povera e più bella.

Che scheur, l’ha vist?
Tutto perfetto, dunque? Sarebbe, tutto perfetto, se non ci fosse quell’inverosimile cumulo di rifiuti vari disposti “a muzzo” sulla riva. Un armamentario completo, c’è di che arredare un appartamento esentandosi dal rito Ikea. “Il canto degli spiriti sopra l’immondizia”, neppure il grande Poeta alemanno potrebbe trarre poesia da cotanta schifezza. “Che scheur, l’ha vist?” Impressionato dalla visione non ho sentito avvicinarsi un signore in bicicletta. Abitante del luogo, mi rende partecipe del suo disappunto e insieme ci troviamo a inveire contro l’italica mancanza di senso civico. “As peul nen fé parej”, è l’amara conclusione. Socializzare l’indignazione però fa bene e con il morale in ripresa continuo in compagnia del Malone. Pedalo piano, mi sintonizzo con lo scorrere dell’acqua. E penso a quando il torrente era per noi ragazzi Malone beach, e non c’erano rifiuti sulle rive.

Da Wikipedia: “L'acqua in natura è tra i principali costituenti degli ecosistemi ed è alla base di tutte le forme di vita conosciute, compreso l'Homo sapiens sapiens; ad essa è dovuta anche la stessa origine della vita sul nostro pianeta ed è inoltre indispensabile anche nell'uso civile, agricolo e industriale; l'uomo ha riconosciuto sin da tempi antichissimi la sua importanza, identificandola come uno dei principali elementi costitutivi dell'universo e attribuendole un profondo valore simbolico, riscontrabile nelle principali religioni. Sul pianeta Terra l'acqua copre il 71,11% della superficie del pianeta ed è il principale costituente del corpo umano.

Ergo: se l’uomo non rispetta l’acqua non rispetta se stesso.

Giornata di primavera al belvedere di Borgallo (Angolo 5)
Il ponte sul Malone non è lontano e lo attraverso con lo sguardo in bilico fra il letto del torrente e le torri del castello di Rivarossa contro-cielo. L’arduinico profilo accoglie il mio ingresso nel borgo ai piedi della riva rossa (d’argilla) della Vauda. Una riva da salire, due sono le opzioni che si prospettano nella via centrale: svoltare a destra verso Front e quindi guadagnare la sommità superando in sella alla bici un paio di stretti torniché, oppure – più consigliabile – salire, bici alla mano, il viottolo di acciottolato che dal municipio del paese eleva direttamente nella piazzetta della borgata Borgallo. Un altro angolo. Accogliente e panoramico, view point d’eccellenza sui tetti (rossi) di Rivarossa e sul medio Canavese. La sosta nella piazzetta panoramica al cospetto della chiesa di Borgallo è quel che occorre per affrontare con il giusto spirito l’ultima parte del viaggio.

Parte 7
Ampi spazi di brughiera

Da Rivarossa in poi il viaggio si svolge su strade a me note. Ma non per questo cessano di stupirmi gli orizzonti di questo altipiano. La brughiera canavesana, la più occidentale del Piemonte. Condizione delicata, in divenire, ma unica nella congestionata regione ex sabauda. Perché non credo esistano altri spazi così ampi non interrotti da elementi di disturbo. Contribuisce alla piacevole sensazione questa strada a fondo naturale che si allunga in costante, lieve salita a occidente, con il sole che scende sulle Graie di Lanzo. Inarrestabile. Piccoli cartelli verdi informano che siamo nel territorio della Riserva naturale della Vauda, la più trascurata del Sistema delle Aree protette del Piemonte. Un peccato, ma questo è un discorso lungo, dovrei raddoppiare questo già esagerato resoconto, e non è il caso…
Una riserva a due volti, la Vauda, uno agricolo e uno “baraggivo”, quest’ultimo interessato da un demanio militare. La strada corre al limite: da un lato la zona militare interdetta all’accesso, dall’altro la zona agreste, zona marginale, ma che ha (potrebbe avere) nella marginalità la sua ricchezza. Tornati su asfalto, nei pressi di un gruppo di cascine si cambia direzione e si svolta a sinistra lambendo un piccolo stagno per attraversare poco dopo il boscoso avvallamento del rio Mignana, uno dei rii che incidono l’altipiano. Si giunge così a una torre di osservazione, luogo ideale per una sosta di osservazione ancora sui monti di Corio: Soglio, Uja e Angiolino. Una sosta per respirare lo spazio, bruscamente interrotto dal reticolato metallico che delimita una porzione dell’area demaniale. Meglio volger lo sguardo altrove, le suggestioni visive non mancano. Come non mancano i cambi di direzione: spalle ai monti si va a sinistra nuovamente in direzione di Rivarossa (non temete, è così) sull’asfalto di una provinciale secondaria. Ma a Rivarossa non si torna: in località Mandracchio si svolta a destra su una strada a fondo naturale che conduce ad attraversare un altro avvallamento dove scorre il rio della Valle. Poco dopo, un’ennesima svolta attende i viaggiatori: incrociata la provinciale proveniente da Lombardore ci si dirige a destra per riprendere la direzione a occidente. Verso i monti. Ancora l’insulso reticolato accompagna la pedalata, ma ancora una volta basta volgere lo sguardo altrove per compensare il metallico tramezzo. Tre chilometri di traffico episodico precedono l’incroci con la già citata “Favriasca”, dove invece il traffico è di tutt’altra intensità. Attenzione quindi ad attraversare questo crocicchio senza rotatoria. Una rarità ormai.

Le rotatorie
Pare rendano più fluido il traffico e riducano gli incidenti. I dati confermano. Ma… non avete mai provato a passare una rotatoria grande come un campo da calcio con un sacco di entrate/uscite, macchine che arrivano da tutte le parti e non sai come uscirne indenne. Un girone dantesco, altro che rotatoria stradale. Maggior sicurezza? Certo non per le biciclette, per le quali erano più sicuri i semafori. A meno che … guardate quel che succede in Olanda.Fantascienza?

Sognando l’Olanda… occhi ben aperti nell’incrocio con la “Favriasca” e proseguite nella stessa direzione, circondati da molinieti e betulle. Più che Olanda pare Finlandia, in entrambe di quelle civili contrade però non ci sono montagne, quelle montagne che ora qui sono sempre più vicine. Il sole basso sull’orizzonte manda raggi obliqui sulla cima del Monte Solio. La luce scivola sui crinali, sulla distesa di molinia che diventa oro. Ci vorrebbe più silenzio, ci vorrebbe, ma qui ora il traffico si è fatto più insolente. Una via di fuga ci vorrebbe. E la via di fuga c’è: attenzione pedalatori, il sole basso negli occhi non aiuta a trovare, sulla sinistra, a breve distanza da un incrocio, quell’ennesima stradina che si intrufola discreta verso un boschetto. Un boschetto di molte acacie e poche querce che circonda e protegge l’avvallamento del rio Fisca. Il più occidentale dei rii che incidono l’altipiano, l’ultimo della giornata. Fisca è anche il nome di una borgatina, un crocchio di case, del comune di San Carlo. Altra dimensione ha la borgata successiva: Sedime. Anche questa un tempo agricola e oggi residenziale, altre schiere di villette nella campagna.

Epilogo

Ci sono ancora le stagioni
Sedime. Un incrocio, e poco dopo un altro ancora. Luoghi conosciuti: andando nella stessa direzione si scende alla borgata Mollie di San Carlo, sulla riva si trovano gli ultimi cerri della zona. Un bell’angolo di natura, ma è un altro itinerario, il viaggio odierno mi conduce altrove: a sinistra per tornare, di lì a breve, nel comune di San Francesco al Campo. Al primo incrocio la chiesetta di San Giacomo segna la chiusura dell’anello. La chiusura del cerchio. Svolto per l’ultima volta, scendo la riva, lascio l’altipiano della Vauda e abbandono la bicicletta all’inerzia. Il campanile di San Maurizio, inconfondibile campanile dalla cuspide “quadra” (di qui l’appellativo dei san-mauriziesi “testa quadra”), è ora il mio faro. In questa strada pedalavo da bambino e il rio Baglioni era il rio delle Amazzoni. Un tempo lontano. Lontano? Tempo e spazio, grandezze fisiche misurabili. Quante ore? Quanti chilometri? Misurabili? Tutto è relativo, tempo e spazio non sfuggono alla regola della soggettiva percezione. Un tempo lontano… era solo stamane l’inizio del viaggio. Il sole si alzava nel cielo d’oriente e ora scende a completare il suo arco. Si accommiata e se ne va oltre il crinale tra il monte Corno e il Colombano. Mi capita spesso di guardare il sole che se ne va oltre i crinali. Colombano, Ciamarella o Bellavarda, dipende dalla stagione.
Perché ci sono ancora le stagioni.

Il percorso tra Banna, Orco e Malone in sintesi

Questo viaggio è iniziato sulla carta dell’Istituto Geografico Centrale “Il Canavese da Ivrea a Chivasso”. E con tale carta ci si può orientare. Molti sono comunque i cambi di direzione, ragion per cui è bene seguire con fedeltà le indicazioni, in particolare nell’abitato di Volpiano e sull’altipiano della Vauda. Escluse due brevi rampe l’anello non presenta variazioni altimetriche significative, quindi non occorre abitudine al salire. La lunghezza è accettabile anche per i non allenati, in particolar modo se si va senza fretta, facendo le soste consigliate. Fondo stradale. Asfalto prevalente, circa 80% del percorso. Tratti sterrati percorribili anche con bici normale. Traffico generalmente scarso. Oltre ai centri abitati (Volpiano soprattutto) fa in parte eccezione il tratto sulla Sp 20 dopo l’incrocio con la Sp 13 “Favriasca”, caratterizzato da traffico non intenso ma veloce. Traffico non intenso si incontra anche sulla Sp 17 dalla borgata Tedeschi di Leinì a Volpiano, dove occorre cautela per via della carreggiata piuttosto stretta. Questo tratto sarà evitabile quando sarà realizzata la porzione di Corona Verde fra Leinì e Volpiano lungo il torrente Bendola, a suo tempo iniziata e mai terminata.

Descrizione del Percorso


Parte 1 - Da San Maurizio a Volpiano 

Dall’ampia area parcheggio presso la chiesa cimiteriale di San Maurizio Canavese si percorre per intera via Barbania fino a salire la breve rampa che adduce all’altipiano della Vauda. Al primo incrocio, presso la chiesetta di San Giacomo, si svolta a destra sulla Sp 19 entrando nell’abitato di San Francesco al Campo e giungendo a incrociare la Sp 17 “Favriasca”. Badando al traffico, piuttosto intenso, la si attraversa per proseguire nell’abitato in via Roma. Pochi metri e, al primo bivio, ci si dirige a sinistra in via Bruna che si percorre integralmente pedalando al margine del paese e poi nella campagna. La via termina a un incrocio a T, delimitato da una palizzata di legno. Svoltati a destra si incontra in breve, sulla sinistra, l’angolo 1 (il pero solitario). Segue la discesa con cui si lascia l’altipiano della Vauda per immettersi a sinistra sulla Sp 17, al limite inferiore dell’abitato di San Francesco. In un paio di chilometri si giunge alla frazione Tedeschi di Leinì che si attraversa proseguendo nella stessa direzione, sempre sulla Sp 17, per Volpiano.

In Volpiano: L’attraversamento di Volpiano non è cosa agevole. Questa per grandi linee la soluzione che secondo la mia esperienza è la migliore per evitare il traffico. Dall’ingresso si va a sinistra per imboccare subito a destra via San Giovanni. Attraversata la centrale via Garibaldi si continua nella secondaria via Carlo Alberto che sbuca presso la stazione in piazza Mazzini. All’incrocio con semaforo si svolta a sinistra paralleli alla ferrovia nel trafficato corso Regina Margherita. Dopo 200 metri, alla rotatoria in piazza San Michele, si svicola a sinistra nel più tranquillo corso Arnaud che dopo un’incredibile successione di dossi prende il nome di via Lombardore. Dopo circa 200 metri, prestando attenzione si rintraccia sulla destra la secondaria via Cervino che, attraversata una zona residenziale periferica, sbuca sulla circonvallazione, Sp 39. Prestando attenzione al traffico si imbocca sul lato opposto una buona strada di ghiaia (sempre via Cervino) che consente in circa un chilometro di arrivare alla periferia di San Benigno in totale sicurezza.

Parte 2 - Da San Benigno a Rivarossa 

Raggiunta la Sp 39 ai marini di San Benigno, la si attraversa per svoltare a sinistra (dir. Lombardore) fino oltre i campi sportivi dove si trova il punto in cui il torrente Malone lambisce la carreggiata. È qui che si trova l’angolo 2, ovvero vista della Fruttuaria che si riflette nel torrente. Ripresa la provinciale in direzione opposta si attraversa la ferrovia Canavesana e si svolta a sinistra nell’abitato. Attraversato il ponte sul Malone, e passato un incrocio con semaforo, si perviene nella centrale piazza Vittorio Emanuele da dove si possono sceglie più possibilità di raggiungere l’estremo opposto dell’abitato. Interessante andare a destra in via Miroglio che consente di accedere a un piccolo parco comunale con distributore di acqua. Si prosegue poi in corso Italia e alla prima rotonda si va a destra in via Primo Levi. Quasi al fondo, poco prima del sovrappasso sulla ferrovia, si traversa a sinistra per imboccare via Teresa Belloc. È questa la “miracolosa” strada a esclusivo uso dei mezzi agricoli che, correndo a sinistra della ferrovia (sul lato opposto c’è la provinciale Sp 87), conduce in un paio di chilometri a breve distanza da Bosconero. Mezzo chilometro sulla provinciale precede l’ingresso in paese che si attraversa per intero nella gradevole via centrale. Al lato opposto si reperisce strada della Chiara che prosegue a nord nella campagna. Attraversata la ferrovia presso un grosso cascinale si perviene ai margini della borgata Mastri, frazione di Bosconero e Rivarolo. Una rotatoria consente di attraversare in relativa tranquillità (molto relativa) la trafficata 460 entrando così nella borgata. Proseguendo nella stessa direzione sulla Sp 38 si giunge in poco meno di 2 chilometri ad Argentera, frazione di Rivarolo. All’incrocio a centro abitato si svolta a sinistra per Rivarossa sulla Sp 37, ma dopo pochi metri la si lascia per svoltare a destra sulla più tranquilla Sp 35 verso Benne di Oglianico. Un tratto assai piacevole conduce alla borgata che si supera raggiungendo la Chiesa di San Francesco, discosta dall’abitato (l’angolo 3). Alla chiesa si lascia la provinciale (diretta a Front) e, seguendo l’indicazione di tre cascine, ci si dirige a sinistra su una stradina che termina al cimitero della borgata. Al bivio presso il cimitero si va a sinistra per iniziare un lungo tratto su buona strada bianca. Al termine di un rettifilo a lato delle barriere di cemento che delimitano i campi della cascina Mondina, si cambia direzione per lambire un altro cascinale attorniato da un lembo di bosco, attraversando due volte in rapida sequenza il rio Manesco. Usciti nuovamente in ambiente aperto ci si avvicina al Malone, giungendo in breve a lambirne la riva sinistra dove si incontra l’angolo 4: lo scorcio sull’ansa formata dal torrente. In compagnia del Malone si prosegue fino a immettersi nuovamente sulla Sp 37, proveniente da Argentera. Seguendola si va ad attraversare il Malone per entrare in Rivarossa.

Parte 3 - Da Rivarossa a San Maurizio 

A centro paese si incrocia nuovamente la Sp 39 che attraversa l’abitato. Due sono le possibilità per raggiungere la frazione Borgallo, alta sopra il paese, ai margini dell’altipiano della Vauda. La più ciclabile consiste nello svoltare a destra sulla provinciale e, usciti dall’abitato, salire a sinistra la strada che con un paio di brevi tornanti conduce all’ingresso della borgata, da dove, seguendo la via centrale, si giunge alla piazzetta davanti alla chiesa. Ma più consigliabile è salire (eventualmente con bici alla mano) il ripido viottolo di porfido (via Don Cavoretto) che dal municipio sale direttamente alla piazzetta: l’angolo 5, punto panoramico sui “tetti rossi di Rivarossa” e sul Canavese. Usciti da Borgallo si punta in direzione ovest uscendo in breve in un ambiente molto aperto, al confine della Riserva naturale della Vauda. Dall’asfalto si passa su un buon sterrato che in costante, lieve ascesa si inoltra sull’altipiano. Dopo un paio di chilometri si torna su asfalto e si raggiunge un gruppo di cascine sparse. A questo punto si lascia la direzione fin qui seguita e si svolta a sinistra per attraversare il boscoso avvallamento del rio Mignana (la svolta è priva di indicazioni ma è evidente per via di un piccolo stagno a bordo strada). Si raggiunge così una torre di osservazione dove si cambia ancora direzione per svoltare a sinistra (verso Rivarossa) su un ramo secondario della Sp 39, fiancheggiando per un tratto il reticolato che chiude un settore dell’area demaniale.

Raggiunta la località Mandracchio si lascia la provinciale e si va a destra, nuovamente su sterrato, per attraversare l’avvallamento del rio della Valle e incrociare, poco dopo, la Sp 20. Con un ennesimo cambio di direzione la si imbocca a destra per procedere nuovamente in direzione ovest con il reticolato sulla destra della strada. In tal modo si giunge dopo 3 chilometri a incrociare la già nota Sp 13 (la Favriasca), attraversandola (attenzione!) per continuare nella stessa direzione verso Ciriè-San Carlo. Dopo l’incrocio il traffico si fa più intenso ma, prima di un altro incrocio, prestando attenzione si individua sulla sinistra una strada priva di indicazione (e priva di traffico). Tale strada conduce alla borgata Fisca di San Carlo ad attraversare l’omonimo rio, al limite sud della riserva naturale. In breve, superato un incrocio, si entra nella zona residenziale della frazione Sedime (sempre di San Carlo) e in breve si giunge all’incrocio con la già nota Sp 19. Svoltati a sinistra si torna in breve nel comune di San Francesco al Campo e, altrettanto in breve, si giunge all’incrocio di chiusura dell’anello. Incrocio poco visibile ma facile da individuare grazie alla chiesetta di San Giacomo sulla destra della strada. Ed sulla destra che occorre andare: è l’ultima svolta, la via si chiama San Maurizio e poco dopo si scende dall’altipiano della Vauda. Entrati nel comune di San Maurizio la strada prende il nome di “via Barbania”. La via percorsa all’andata che con poche, rilassanti pedalate, conduce al punto di partenza: la bella chiesa cimiteriale del paese.

Riferimenti


Parte 1 - Da San Maurizio a Volpiano – 14 km 

San Maurizio, chiesa cimiteriale (o stazione) – via Barbania – salita sulla riva della Vauda – chiesetta di San Giacomo – Sp 19 – San Francesco al Campo – incrocio con Sp 13 “Favriasca” – via Bruna – angolo 1 - discesa – Sp 17 – frazione Tedeschi di Leinì – Volpiano

Parte 2 - Da Volpiano a Rivarossa - 24 km 

Volpiano – via Cervino – incrocio Sp 39 - strada sterrata – Sp 17 – angolo 2 – San Benigno - ponte sul Malone – via Teresa Belloc (strada miracolosa) – Sp 87 – Bosconero – strada della Chiara – frazione Mastri di Bosconero-Rivarolo – Sp 38 - frazione Argentera di Rivarolo – Sp 37 – Sp 35 – frazione San Francesco Benne di Oglianico – Chiesa di San Francesco (angolo 3) – cimitero della frazione Benne – cascina Mondina – cascina Rat – rio Manesco – torrente Malone – angolo 4 – Sp 37 – ponte sul Malone – Rivarossa

Parte 3 - Da Rivarossa a San Maurizio – 15 km 

Frazione Borgallo di Rivarossa (angolo 5) – Riserva naturale della Vauda – rio Mignana – torre di osservazione – Sp 39/d1 – località Mandracchio (Rivarossa) – rio Della Valle – Sp 20 – incrocio con Sp 13 “Favriasca” – frazione Fisca di San Carlo – rio Fisca - frazione Sedime di San Carlo – Sp 19 - San Francesco al Campo – chiesetta di San Giacomo (chiusura dell’anello) – discesa dalla Vauda – via Barbania - San Maurizio, chiesa cimiteriale (o stazione).

Lunghezza totale: 53 km


Treno + Bici


Il percorso è servito dalle linee SFM1 Pont – Rivarolo – Chieri (la Canavesana) e SFMA Torino Dora – Aeroporto – Ceres (la Torino-Ceres), con stazione di San Maurizio prossima al punto di partenza.


Percorso


Scarica qui il file GPX file del percorso 1 dal sito bikemap.net

2 commenti:

  1. Caro Toni, è stato un bel incontro, io e Cubo li chiamiamo ormai da tempo così, leggerti mi aiuterà anche ad esprimermi nei prossimi racconti di viaggio. Complimenti a te e al mia grande amico del destino Cubo che mi ha aperto il mondo delle due ruote lontano dall'agonismo puro, ho capito così che nel nostro pedalare, non vince chi arriva prima, ma chi sa godersi il territorio e tutto quello che lo circonda arricchendo il proprio bagaglio

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  2. Grazie Lorenzo e Toni per le belle parole che arrivano direttamente alle emozioni senza passare dalla testa. Siete voi la forza del blog.

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